MISTERI D'UNA NOTTE (racconto edito)

12.08.2014 23:28

L’auto è appena sfrecciata via, con stridore di gomme… Non riesco a capire… È successo tutto così velocemente… È stato come fare un giro sulle montagne russe, di notte, con i fari sfuocati e le grida della gente eccitata che schizza tutto attorno, per un solo istante. Oppure, potrebbe essere stata soltanto una brutta ubriacatura. Vi ricordate la sensazione, vero? All’inizio, piacevolissima e poi, decaduto l’effetto dell’alcool, terribile… È come se, in quella prima fase di stordimento, mi fossi trovato steso sul letto, con la sensazione che tutta la stanza ruotasse vorticosamente attorno, in una sorta di danza psichedelica. Un’atmosfera allucinata. Ma non preoccupatevi, non mi sono ubriacato…

Ora è ritornato di nuovo il silenzio. L’asfalto non è per niente freddo… ed io sto quasi… bene. Mi è difficile ammetterlo, ma mi sento leggero, sublime. È incredibile. È notte, e nessuno sembra aver udito niente. È tutto così tranquillo, così irreale. Persino gli uccellacci notturni hanno smesso di richiamarsi. Un filo di vento spira fresco e calmo. Uno spicchio di luna risplende indifferente. Forse ha addirittura assistito al fatto. Sembra osservarmi. Se potesse spiegarmi… Ma, in fondo, a che scopo, ora? Ho appena detto di sentirmi bene, anzi… sublimemente. Ed è vero. Pensandoci, non provavo questa sensazione da anni. Difficile da definire: una lieve ebbrezza mentale, una piacevole levità, una tenue euforia che si diffonde per tutto il corpo. Una sensazione che ho provato poche volte nella vita, ma che, quando mi colse, diventò padrona di me stesso, interamente. Un ricordo che mi è rimasto sotto la pelle e che ora mi è ritornato con chiarezza… con i suoi profumi, con i suoi aromi misteriosi…

… sono steso ed osservo il cielo stellato, un profondo cielo oscuro. E mi ritorna in mente di continuo quella percezione gradevole. Tuttavia, fin dall’inizio, concepisco in un antro della mia mente un interrogativo, un dubbio, un enigma. Qualcosa mi sfugge… Non riesco a capire cosa mi sia successo… ma ne approfitto. La notte è così tranquilla, riempie di pace… Ora, nessun rumore la turba… L’auto, sì, se n’è proprio andata via e non credo che ritornerà. Non ricordo con precisione che tipo di macchina fosse: forse coupé, abbastanza spaziosa, di colore oscuro, se non sbaglio a sole tre porte, col bagagliaio spalancato. Per quanto riguarda i due tipi che la guidavano, poi, non posso dire granché: giovani, alti e corpulenti. Vestivano in tinta scura. Nulla di più. Parlare non li ho proprio sentiti… mugugnavano qualcosa di incomprensibile, con tono basso e rauco… un bisbiglio concitato… Ma cosa importa, ormai? Non è compito mio ricostruire i fatti, risalire al motivo primario… Qualcuno se ne occuperà più tardi, se vorrà…

Mi chiedo se qualcuno abbia udito qualcosa… È un po’ triste ammetterlo… È proprio infelice pensare che delle persone abbiano visto tutto e non osino sporgersi dalle finestre per sincerarsi… Ma non li biasimo, non li biasimo affatto… In fondo, ci si può giustificare in molti modi: una portiera che sbatte, una lampadina del lampione che scoppia, lo sbatacchiare di una persiana sullo stipite, un cassonetto della spazzatura che cade sull’asfalto, qualche ubriaco che ha urtato delle biciclette, un motorino che si è rovesciato a terra per un colpo improvviso di vento…

Giustificarsi è la cosa più facile di questo mondo, anche di fronte a catastrofi inaudite: è colpa della società, è colpa della globalizzazione, del capitalismo, dei mafiosi, del terrorismo ecc. Ma nessuno osa aprire i propri armadi e tirar fuori i propri scheletri ammuffiti… Ragazzi, non penserete di essere immuni dal contagio sociale, capitalistico, globalizzante, mafioso, terroristico… Noi siamo uomini ed esistiamo solo in relazione agli altri… Scheletri, negli armadi, ne abbiamo tutti quanti… Non mi va di rivelarvi i miei, perché sciuperei questa notte. E tanto meno mi va di biasimare i vostri, di analizzarne le nervature già putrefatte, le ossa ormai calcinate… Giudicate da voi… Eppure, oltre a questi muri sonnacchiosi e tetri, mi chiedo se qualcuno si sia allarmato sul serio…

… forse, questo signor Qualcuno percepisce che in fondo è facile discolparsi, specialmente di fronte ad un pericolo, o ad una colpa… infine inizia segretamente a fremere, la sua coscienza si ribella di fronte all’evidenza razionale… Questa gli soffia sulle tempie con dispetto e lui allora si alza dal letto, mezzo intorpidito da quel poco sonno già conquistato, e si avvicina circospetto alla finestra ad osservare giù, sulla strada… Trattiene il fiato per non creare rumore, cercando di farsi piccolo piccolo dietro quelle tendine o tapparelle, osserva appena… fa scorrere il suo sguardo centimetro su centimetro sull’asfalto di fronte a casa…

“Eppure qualcosa ho proprio sentito”, ripete in cuor suo il signor Qualcuno.

“Non poteva essere un ubriaco, nemmeno un cane in calore, i lampioni non sono scoppiati, i cassonetti della spazzatura sono a posto…”, suggerisce la sua ugola, con un leggero tremito.

“E se accendessi la luce?”, chiede con un tuffo il pancreas.

“E se scendessi a vedere in strada?”, ribatte lo stomaco con un getto acido di bile.

“E se tornassi invece a dormire?”, zittisce tutti il cervello del signor Qualcuno.

Così il signor Qualcuno s’infila di nuovo sotto le lenzuola tiepide. Il corpo si assopisce senza troppe difficoltà, mentre l’inconscio continua incessantemente a rielaborare i dati, come un computer che scandisce i cluster di un harddisk, uno per volta, finché non trova qualcosa fuori posto. Allora si sofferma sul cluster danneggiato e cerca in tutti i modi di medicarlo, guarirlo. Il corpo dorme e la mentre freme.

“Ho sentito qualcosa di strano, come se una bottiglia fosse andata in frantumi sull’asfalto. Poi una macchina che sgommava via in fretta e furia. Le solite cavolate di giovani che non sanno bere. Perché chiamare la polizia? Due ragazzini che spaccano una bottiglia di birra e sfrecciano a casa a poppare dalla mammina. Furfanti da baraccone. Non vale la pena spendere i soldi di una telefonata alla polizia per questi vandali viziati.

Ma forse sto sbagliando… Non sono così sicuro che si trattasse di una bottiglia… Il rumore era molto più intenso, secco… Ah, tutta colpa della televisione… credi di sentire qualsiasi rumore, ormai… Ci si abitua a tutto… Ma perché allora la mia voce trema un poco? Se fosse successo qualcosa di orribile? Dovrei proprio accendere la luce, alzarmi di nuovo dal letto e dare un’occhiata. Ma non mi va di espormi troppo. In fondo, io cosa c’entro? È tardi, mi rimangono poche ore di sonno… Quei teppistelli domani mattina avranno il cerchio alla testa e la mamma li potrà coccolare… A me, domani mattina, il capo non mi coccolerà di certo. Semmai, mi chiederà col suo solito savoir-faire perché mai io abbia borse sotto gli occhi tanto pesanti, perché mi tremino freneticamente le mani, perché non riesca a “sfoggiare” nemmeno una parolina “diplomatica”... perché… perché… perché… La luce, lasciamola spenta: torniamo a dormire… basta pensieri folli! La vita quotidiana non è poi tanto diversa da un film caotico… Non riesco a dormire… Dai, scendiamo di sotto, in strada, a dare un’occhiata… Sarà più facile ritornare a letto… Tutto a posto... tutto ok… nulla di anomalo… nulla fuori della norma… due cretini ubriachi che sono già sotto le coperte, e io qui, come un imbecille nel deserto più assoluto di questa strada schifosa… e buona notte!”

Povero vecchio solitario! Mentre il suo corpo dorme, qualcosa dentro di lui gli sussurra di alzarsi a controllare. Ma intanto dorme, e con lui tutta la città.

Cerco, nell’oscurità di quelle finestre. Non appare proprio nessuno. L’incidente è accaduto da non molto… Oppure sarà accaduto da ore? Non ricordo con precisione. Forse non è accaduto addirittura nulla… Ma se fosse realmente successo? E se ci fossero decine di persone dietro quelle tendine oscure? Dietro quelle persiane barricate? È triste pensarlo… mi dispiace… ma credetemi, non vi criticherei affatto, se vi foste appostati per spiare… Però, parliamoci chiaro: io mi sarei almeno sporto dalla finestra, avrei cercato di identificare il fatto e, forse, avrei persino chiamato la polizia. Ma la libertà incondizionata – si sa – è un bene prezioso, come la possibilità di discernere, di decidere. Senza pretesti mistici, parlerei di “libero arbitrio”… Ognuno ha il diritto di comportarsi come meglio crede, secondo i dettami della propria coscienza. Semmai, si dovrebbe parlare delle conseguenze di certe decisioni “fuorviate”…

Stavo solo rientrando a casa. Era tardi, anche se non oltre misura. Forse l’una e mezza. Potrei anche controllare l’ora, adesso, ma a che scopo? Non ne ho voglia. Non desidero nemmeno cambiare posizione. Così, nonostante un formicolio che sembra darsi vigore, mi sento comodo… Ebbene, stavo rincasando verso l’una e mezza e, lungo il viale deserto e silenzioso, a poche decine di metri dal mio appartamento, notai una macchina nera posteggiata, il bagagliaio spalancato, e due tizi alti e corpulenti che discutevano sottovoce, ma animatamente. Nulla di anomalo, in apparenza. Camminavo verso casa. La mia casa, a poche decine di metri. Poi, francamente, mi si annebbiò la vista. Uno sguardo, ecco, intravidi uno sguardo, degli occhi penetranti che anticiparono uno scoppio secco e un motore che rombava via, spegnendosi in lontananza. Io, disteso al suolo, che osservavo le stelle e mi chiedevo cosa fosse successo… Ricordate la sensazione di stordita gioia dell’ubriacatura, vero? Gioire per combattere il dolore; maschere che nascondono il vero volto tenebroso della vita…

Adesso mi ci vorrebbe proprio una bella risata sonora, di maschera… da risvegliare tutto il quartiere. Non che io debba per forza esorcizzare la paura – a dire la verità non saprei cosa temere adesso – o che mi senta per qualche ragione abbattuto… sarebbe solo un gesto per riscuotere dall’indifferenza l’intero isolato. Non per cattiveria, ma solo come prova. Forse qualcuno accorrerebbe, forse altri si alzerebbero a sbirciare dalle finestre, probabilmente altri ancora se la prenderebbero col gatto in calore dei vicini.

È incredibile come uno sparo ripetuto in continuazione alla televisione e al cinema possa dare assuefazione. Una bella risata, invece, risveglierebbe di certo tutti dal loro torpore. Sì, mi piacerebbe proprio provare… Forse, allora, affollerebbero tutti quanti le finestre dei palazzi circostanti.

“Chi è quel pazzo ubriacone che ride di notte?”, griderebbero.

“Adesso basta con questa cagnara!”

“La smettiamo o devo chiamare la polizia?!”

“Silenzio, squilibrati! Qui si riposa! Domani noi si lavora!”

Allora, sì, chiamerebbero sul serio la polizia, per levarsi il pensiero e ritornare al più presto a dormire. Qualcuno, forse, riderebbe anche lui, gli altri mi insulterebbero di sicuro.

Ma queste sono solo teorie... Non oserei mai svegliarvi. Vi rispetto. Domani mattina, voi dovrete alzarvi presto, recarvi al lavoro, vi rimane poco spazio per ridere. Non ne avete il tempo. Non ne avete la possibilità… Ma la voglia dovrete pur averla, no? Io, invece, potrei ridere per sempre. Domani mattina non devo andare a lavorare… Sono uno studente universitario… steso sulla schiena sull’asfalto nero, che osserva un cielo stellato…

Si è di colpo levata una brezza frizzante che, a volte, mi scompiglia i capelli. Non mi va di riaggiustarli. Perché dovrei farlo? In fondo, ogni nostro atteggiamento quotidiano è un riflesso compiuto per dare soddisfazione agli altri; a coloro che incontriamo passeggiando per strada, entrando in un caffè, visitando una cattedrale. Potremmo sentirci bene con noi stessi, se fossimo spettinati? In casa nostra di sicuro, per strada, non credo. Per il semplice fatto che ci sentiremmo osservati e giudicati. E allora lascio che le folate di vento, che di tanto in tanto sferzano, mi scombinino i capelli sulla fronte. È persino divertente…

Saranno ore che non cambio posizione. Ho un leggero tremito a una gamba. Saranno compressi dei vasi sanguigni. Nulla di più. Localizzo anche un intorpidimento all’ascella che si intensifica di tanto in tanto, ma credo sia solo la stanchezza che inizia a serpeggiare dentro il mio corpo. Per il resto, non posso lamentarmi. La nottata è quieta, stellata, infinita… Uno sciame di lucciole nel cielo. Una tiepida calma interiore conduce i miei pensieri.

Affinando un attimo lo sguardo, mi sembra di vedere una sagoma in lontananza che si sta avvicinando… in fondo al viale… Sì, proprio laggiù… Per un attimo, inspiegabilmente, sento che ogni fibra del mio corpo si tende e si concentra nello sforzo di mettere a fuoco quella presenza… Ci sarà veramente qualcuno in fondo alla strada? Oppure si tratta solo di una proiezione mentale, di un miraggio simile alla fata Morgana dei deserti? Perché dovrei desiderare che una persona mi si avvicini proprio adesso? Forse per porgermi la mano e aiutarmi a rialzarmi? Non lo desidero ancora. Quando sarà il momento, chiamerò qualcuno in aiuto, oppure mi metterò a ridere, per destare tutti…

Sembra proprio che qualcuno stia passando laggiù… Ora si è fermato a guardare nella mia direzione. Che cosa starà facendo? Non riesco a capire… Non ci vedo nemmeno molto bene. Forse saranno i suoi vestiti scuri che si fondono con le tenebre del viale a confondermi… Sta camminando, ora… continua verso di me… È proprio un uomo. Sì, un giovane che si sta avvicinando guardingo, come se stesse temendo un agguato… Che stupidaggine! Temere un agguato su questa strada… In questa città non sono mai accaduti fatti di sangue, nemmeno scontri con la polizia, o atti di vandalismo di una certa gravità. È una cittadina pacifica, sorniona, appisolata…

Ma allora perché si è fermato un’altra volta? Probabilmente non riesce a “identificarmi”… nel senso che non sa cosa io sia! Forse s’immagina una bestia ferita stesa sull’asfalto e si chiede che cosa potrebbe fare… Oppure sta solo cercando di capire se non si tratti semplicemente di un motorino caduto a terra. Potrebbe dubitare che io sia un uomo, è vero… Per questo teme? In effetti, è un po’ strano trovarsi davanti un giovane, di notte, steso sull’asfalto… Non temere, non mi è successo nulla! Che io lo voglia o meno, sono steso a terra per riflettere proprio sul perché tu ti stia avvicinando in modo tanto circospetto… Sei libero di decidere se avanzare o indietreggiare, se urlare o se chiamare la polizia, oppure se passare indifferente… Ecco, lo vedi? Non era poi tanto difficile… Il giovane ha di colpo affrettato il passo, sollevato il bavero della giacca di pelle scura, chinato il capo e mi è passato davanti senza cercarmi con lo sguardo… Ora se n’è già andato… Forse fugge solo dal fresco della sera. Tutto qui.

Devo fare una pausa. Assaporo un attimo in silenzio il fresco della notte…

Sta diventando freddo. Lo percepisco con evidenza sulle braccia e sulle gambe. Nel petto, invece, ho uno strano “calore”, focalizzato in un punto sotto l’ascella, come dicevo.

Non ho risolto ancora nulla… Sto meditando su tutto e su niente, con la strana sensazione di sentirmi su di un palco, di fronte ad una platea vuota, scarna, silenziosa… Cerco in tutti i modi di non frenare la fantasia, di concentrarmi su altro… Mi va ancora di filosofare, di discorrere con l’oscurità, sperando di sfuggire al freddo che tra un po’ mi spingerà ad alzarmi e a tornarmene al mio appartamento, qui, a pochi passi…

Che ore saranno? Quanto tempo sarà passato? Che importa… In una mia poesia una volta scrissi che la vita di un uomo è “temporalmente trascurabile”. Settant’anni confrontati all’età dell’universo (più o meno cinque miliardi di anni)! Per noi sarebbe come lamentarsi di come abbiamo speso quello o quest’altro millesimo di secondo della nostra vita… Che assurdità! Possiamo immaginare di esistere per assurdo? C’è pure chi disprezza gli uomini. Non li capisco. Non riesco a capacitarmi di questo. È molto facile cancellare un essere umano, così come una formichina. Non posso credere che quest’atto possa provocare piacere o portare beneficio a qualcuno. Anch’io, in fondo, stavo solo rientrando a casa, dopo una serata passata da un amico a giocare a carte. Nessuna infrazione della legalità. Nessuna puntata. Nessuna speculazione. Un semplice gioco per camuffare la monotonia di un giovedì sera. Spero di non aver infastidito nessuno, di non aver calpestato il terreno dei mulini altrui… Perché dovrebbero punirmi? Non mi sembra vi sia una ragione. Francamente, non la vedo proprio… Un “movente”, direbbero gli inquirenti. Un movente valido che giustifichi un atto contro l’istinto vitale. Sì, perché io esisto, respiro e soffro… e mi sto anche stancando…

È meglio fare ancora una pausa. Mi si stanno chiudendo le palpebre…

Questa sera è successo qualcosa di straordinario. Qualcosa a tutta prima inconcepibile. Non ho ancora scovato il bandolo della matassa, ma vagamente lo intravedo. E temo di svelarne il mistero. Benché mi senta appagato, la mente mi rimanda senza sosta a quel suono: uno scoppio improvviso e uno sfuggire di motore all’impazzata… come uno shock che si mescoli di continuo ai miei pensieri… Uno spavento enorme mi ha investito. Probabilmente non voglio capire… Fin dall’inizio mi sono sentito bene nel dialogare con uno spettatore ideale, o, forse, perché no, con un lettore ideale... Spero vivamente che, sotto la vostra coltre di indifferenza, voi uomini e donne dietro quelle tendine, ascoltiate almeno le mie parole... Mi piacerebbe sapere che qualcuno di voi se le annoti su di un taccuino, o le ripeta ad alta voce... forse alla propria figlioletta… o a se stesso… o, perché no, alla luna, restituendole al “chiacchierio delle stelle”…

Io, invece, non posso più nascondermi alla verità.

In fondo, mi rendo conto solo adesso che non avrei voluto soltanto rendervi partecipi delle mie impressioni. Adesso non serve più. Bisogna saper affrontare il presente. Il pretesto è quello di sfuggire al mistero celato dietro il tendone di questo palco. In effetti, potrei anche trovarmi su di una scena teatrale, steso sul palcoscenico, di fronte a centinaia, a migliaia di spettatori! – voi – sospesi a mezz’aria, il fiatone tagliato, poiché non capiscono ciò che sia accaduto veramente… il senso di questa rappresentazione. E con quegli occhi intensi – che avvertono in qualche modo una subdola inquietudine – sembrano interrogarmi…

Pensate che io possa darvi la risposta? Non giudicatemi malevolmente, ve ne prego. Io sto recitando… Ma è strano anche per me. Non mi ricordo del regista che mi ha ingaggiato, degli attori e miei compagni di recita, del mio ruolo nella commedia (o forse si trattava di un dramma?), della colonna sonora, della scenografia. So solo che sono steso sull’asfalto scuro e freddo. Ecco tutto. E mi sento così stanco… Tuttavia, nulla può turbare questo mio sogno… Forse io stesso ne sono il regista, l’attore-protagonista, lo scenografo, il tecnico delle luci e del suono. Non vi è alcun direttore bisbetico che grida:

– Avanti ragazzi, muovetevi!

– Allora ragazzi, la proviamo questa scena sì o no?!

– Dai, su, forza, avanti, presto, sbrigatevi…

A me spettano tutti questi compiti. Ma non sgrido nessuno, io. Tanto meno me stesso. Semmai potrei commentare questo evento con battute semplici, quasi banali:

– Ragazzo, è ora di riordinare le idee su questo strano set…

– Non cercare di fregare nessuno, gli spettatori sono più furbi di quanto credi…

– Sta attento a dosare luci e ombre allo stesso modo sul palco…

Nessuno mi ha imposto la trama o la sceneggiatura. A me sta bene così. Mi piace recitare liberamente, anche cadendo di tanto in tanto in qualche equivoco o in assoluta contraddizione. D’altro canto, sono in un dramma… e i drammi presentano spesso sfumature che si risolvono solo alla fine dell’opera, con la catarsi si richiama il Deus ex Machina.

Beh, abbandoniamo per un attimo il palcoscenico. Anche se mi fa paura. Sì, non lo nego, mi fa paura: guardarmi attorno, da un capo all’altro, guardare me stesso. Ciò mi spaventa proprio, da matti… Non voglio sprecare nulla… Per un attimo, assecondiamo il ricordo, il piacere, il benessere... Potrei rialzarmi e osservare un po’ l’ambiente che mi sta attorno in cerca di prove… una cartuccia vuota, ad esempio… ma non ne ho voglia… sono sfinito. Potrei mettermi in piedi, sì, ma allora dovrei poi rientrare a casa per forza. Perché sciupare una serata simile? Sto assaporando una nuova forma di libertà… Mi sento ancora un ragazzo, mi viene da sorridere. Non voglio credere a quello che mi è successo. Non posso! Per questo ho sempre sfuggito la realtà… Non avrebbe senso… Sarebbe troppo facile, così, spegnere una vita umana, e poi, perché farlo? Chi saprebbe spiegarmi il perché?

Interrogo quelle finestre buie, quei balconi barricati, quei muri silenziosi, quelle porte sprangate, ma nessuno mi risponde. Nessuno, forse, ha il coraggio di farlo. Nessuno vuole partecipare al mio dolore. In fondo, tutti voi avete compreso cos’è successo questa notte, vero? Credete che non vi sia più nulla da fare, per salvarmi… E forse avete ragione… Anche la luna si è ottenebrata dietro alcune dense gonnelle di nubi nerastre. L’unica che avrebbe potuto aiutarmi… Non importa… Ti perdono… Ti perdono, a cuore aperto.

Forse è proprio ora che io rientri. Poi, domani, si vedrà… Mentre voi, invisibili spettatori – adesso nei vostri letti caldi –, tra poche ore vi alzerete e vi recherete contro voglia al lavoro, io potrò finalmente riposare… Dormirò fino al pomeriggio e, forse, solo allora mi renderò conto di aver sognato. Un bel sogno. Intrigante…

Cerco di riaprire le palpebre. Le stelle sono ancora lì. Vi sono proprio tutte. Eppure, mi sembrano un po’ più grandi, sì, come dire: “dilatate”… Un “pigolio di stelle”, scrisse un grande poeta, un “pigolio di stelle” dietro alla madre chioccia del cielo notturno… Esse mi sembrano, anzi, un poco sfuocate. Brillano, tremolando lievemente, come minuscole fiaccole, lontanissime.

Devo proprio rientrare, adesso… Ho freddo...

Di colpo, mi si è presentato un bruciore intenso, dove prima percepivo solo un formicolio… una sensazione nuova… È un’irritazione che si fa ormai pungente, proprio qui, sotto l’ascella, e tutt’attorno nient’altro che freddo… Perché mi starà infastidendo tanto?

Ho alzato una mano che ha incontrato una macchia umida, sotto, al costato… due dita con un po’ di sangue… Forse è solo a causa della posizione… Non mi sono mai mosso, durante tutta la notte…

Forse, tra poco, spunterà addirittura l’alba… È normale che mi senta stanco morto, e dolorante… Fatico a respirare… Il polmone si è svigorito per la stanchezza… Non deve essere troppo preoccupante… Nulla di grave…

Non m’interessa neanche… Ora devo proprio rientrare…

Sarebbe bello continuare a riflettere, a meditare, a filosofare, a ricordare il passato, a ricercare il presente… i suoi misteri insoluti… ma il sonno mi sta proprio vincendo…

Dài, su, a nanna adesso… fa proprio freddo…

Non vedo l’ora di infilarmi sotto il piumone, al caldo… e immaginare di abbracciare la mia ragazza… (Non ve ne ho ancora parlato, vero? È una ragazza splendida, mora, capelli lunghi e lisci, gentile come poche…) Mi piacerebbe tanto assaporare il suo respiro fresco, di rosa… e dimenticarmi di tutto…

Mi farebbe proprio bene rivederla ancora, questa notte… dormire al suo fianco…

… e spegnermi nel sonno… senza remore…

… in silenzio…

… lentamente...

COPYRIGHT GERRY MOTTIS, TRATTO DA: "OLTRE IL CONFINE E ALTRI RACCONTI", DADÒ EDITORE, LOCARNO 2011.

GERRY MOTTIS

RIVERA (TI) - SVIZZERA

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